giovedì 6 gennaio 2011

Storie di dislessia: "Se le lettere ballano, io non valgo."

Storie di dislessia
Arianna, massacrata perché alla lavagna vedeva il caos. Duccio, che a mandare un sms ci mette il doppio. Chiara, che leggendo e scrivendo si è avvelenata il corpo.
E una legge che, finalmente, li protegge
di Veronica Bianchini

Arianna ha 19 anni e frequenta, a Venezia, l'Università Ca' Foscari, facoltà di Lettere e Filosofia. Ha una forma grave di dislessia, disortografia, disgrafia, discalculia.
Articolo di Vanity Fair
«Era la fine della seconda elementare quando mi spiegarono che ero dislessica. Per me fu un gran sollievo. Finalmente capivo perché le tabelline erano un incubo. Finalmente capivo perché, alla lavagna, le lettere si muovevano continuamente, e io cercavo di fermarle, ma loro niente, saltellavano di qua e di là. Finalmente capivo perché i miei quaderni erano pieni di scarabocchi e segni rossi. Allora ho pensato: "Questa cosa c'è, cerchiamo di farcela amica". Arrivare all'università è stato come scalare l'Everest. Con un'alleata: mia madre Maristella, che mi è stata accanto fin dal primo momento. A casa, dopo la logopedia, mi aiutava tutti i giorni a ripetere gli esercizi.
«La cosa peggiore è sempre stata leggere in pubblico. Mi fermavo di continuo, stentavo, e tutti mi prendevano in giro. Ricordo una volta al campeggio: i bambini mi aspettavano fuori dalla tenda e mi urlavano "dislessica". Meno male che in quarta elementare arrivò il computer, con un prototipo di sintetizzatore vocale. La voce era metallica, molto spezzettata, ma leggeva per me, e questo era meraviglioso. Peccato solo che il mio banco stesse proprio accanto alla lavagna, isolato dalla classe. Tra me e gli altri c'era una distanza incolmabile.
«Le medie sono stati gli anni più belli. Ero una specie di mascotte, con il pc potevo fare le ricerche per i compagni e loro mi passavano gli appunti, naturalmente in stampatello perché a leggere il corsivo ci metto una vita. Il mio problema diventò una risorsa. Poi mi sono iscritta a un Istituto professionale grafico, per lavorare con le immagini, ed è cominciato l'inferno. I professori non credevano al mio problema. Non mi lasciavano registrare le lezioni e così io non potevo studiarle. I compagni mi prendevano in giro, mi trattavano da "tonta", mi accusavano di essere privilegiata per via del computer. Non capivano che, per stare al passo con loro, dovevo studiare molto di più. Una volta, per imparare la Rivoluzione francese, sono stata con le cuffiette anche sotto la doccia.
«Vita sociale nemmeno a parlarne, studiavo e basta. Con i compagni non riuscivo a legare, nel tempo libero ascoltavo gli audiolibri. Il mio preferito era I tre moschettieri: ho consumato il nastro. Però in gita a Praga mi sono scatenata, ho ballato in discoteca fino a tardi. E il giorno dopo tutti a guardarmi con occhi diversi e il mio insegnante di inglese che mi dice: "Ah, ma allora sei una persona normale". Non so quante volte ho dovuto spiegare qual era il mio disturbo, e che ero normale, appunto.
«La maturità è stata un massacro: è arrivato un commissario da un'altra scuola, non credeva al mio problema, nonostante i certificati medici. Mi ha rimproverata per gli errori di ortografia e all'orale mi ha costretta a leggere a voce alta. Per fortuna sono intervenuti, per difendermi, i miei insegnanti.
«Ma alla fine sono stata promossa e, per festeggiare, ho letto Il Signore degli Anelli. Letto, letto, non ascoltato. Ora ho finito il primo anno di università e sul mio libretto ci sono sei esami, compreso un trenta. Chi l'avrebbe detto?».

Le (altre) storie, quella di Duccio e quella di Chiara, sono state pubblicate sul n. 43/2010 di Vanity Fair il 27.10.2010:
http://www.style.it/news/le-notizie-del-giorno/2010/10/26/la-carica-dei-350-mila--bambini-dislessici-.aspx#?refresh=ce

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